Disavventura in un centro di meditazione buddista in Thailandia – 1° parte
Arrivata a Bangkok il 31 dicembre 2018, dopo i primi 3 giorni passati nella capitale, avevo in programma e già organizzato dall’Italia, di trascorrere almeno un paio di settimane in un centro di meditazione buddista distante una cinquantina di chilometri dalla grande città.
Dopo l’esperienza fatta l’anno scorso in una scuola di meditazione in India, grazie alla quale sono riuscita ad ottenere il certificato di insegnante in questa antica disciplina vedica, volevo integrare il mio bagaglio a bordo ed apprendere ancora di più. Il 3 gennaio 2019 quindi, come da accordi, raggiunsi le monache buddiste (Bhikkhuni, cioè le donne che hanno preso i voti nella religione buddista).
Tutto procedeva bene, mi stavo ambientando, il terzo giorno era stato eccezionale. Ma il quarto giorno, iniziato con una puntura di vespa e la conseguente supplica di portarmi velocemente in ospedale, segnarono la fine della mia permanenza in questo posto surreale.
Senza alcun (mio) diritto di replica.
Diario breve, ma pericolosamente adrenalinico, da un centro di meditazione in Thailandia: quando la compassione è solo una parola.
Avevo iniziato a scrivere questo articolo subito dopo il fatto. Nei giorni poi successivi, quando piano piano mi stavo riprendendo sia sul piano fisico che su quello mentale, decisi di aspettare a pubblicare quanto mi è accaduto.
Avevo bisogno di metabolizzare ancora di più questa disavventura: il colpo era ed è stato duro. Ancora una volta, avevo dovuto riconoscere la mia fragilità. Lo siamo tutti. Ma per me che ho viaggiato per le giungle più remote, dall’Amazzonia al Borneo, dover ammettere che la mia allergia agli imenotteri è più forte di me, credetemi, non è affare da poco.
So che al momento dovrò, per quanto in mio potere e con grande dispiacere, evitare situazioni a rischio. Sicuramente, almeno per ora, dovrò aspettare per tornare ancora nei luoghi incontaminati dove vivono gli animali che si vedono sui libri di geografia o nei documentari, creature selvatiche lontane da tutto, anche dagli ospedali che dopo ciò che mi è successo, devo invece tenere ben presenti e a breve distanza nei miei itinerari di viaggio.
Questo aspetto, ha coinvolto dolorosamente sia la mia parte fisica nel corpo che quella invisibile nell’anima. A tutto ciò, si è per forza di cose e come avrete modo di capire, aggiunto un peso importante e negativo che è andato a colpire il mio piano spirituale.
Tutto è stato veramente assurdo e la mia mente ha vagato tra pensieri, arrivando anche ad assentire nei confronti del vecchio detto “l’abito non fa il monaco”, in questo caso la monaca.
Cercando nel frattempo di capire il perché di ciò che era successo, un perché che credo non potrà trovare una risposta completa, sono consapevole e lo sono veramente, di dover essere grata, in quanto questa mia pericolosa disavventura si è consumata in una zona piuttosto vicina ad un ospedale e non in altri miei momenti di viaggio, quando invece una struttura sanitaria sarebbe stata raggiungibile dopo ore e ore di navigazione o lunghi tragitti percorribili su strade dissestate..
Molto probabilmente in questi ultimi casi, sarei arrivata in ritardo, troppo in ritardo…
Inoltre, i giorni trascorsi tra l’evento che vi voglio raccontare ed oggi, hanno permesso di ridarmi fiducia nei confronti di un Paese finora a me sconosciuto, la Thailandia. Ovvio, chi mi conosce lo sa, non metto etichette e so che il bene come il male, esistono in ogni luogo.
Ma ad essere sinceri come voglio essere, è indubbio che in un primo momento, si era formata in me una certa resistenza, la quale, grazie ai tanti incontri positivi fatti successivamente con il popolo Thai, si è dissolta portandomi a fare di nuovo pace con il tutto.
Giorno 1 – La felicità di iniziare il nuovo anno con Bhikkhuni, le monache buddiste
Nel primo pomeriggio del 3 gennaio, arrivai dunque in questo centro di meditazione buddista di cui non farò il nome, se non in privato. Lo avevo trovato in uno dei tanti siti internet dove, dietro iscrizione e pagamento di una piccola quota annua, è possibile fare esperienza di vita e di viaggio particolari, incentrati soprattutto sull’aiuto reciproco, sullo scambio e su nuove conoscenze.
Non avevo avvertito della mia allergia e nessuno me lo aveva chiesto.
Non ero lontana da Bangkok, ma di certo il contrasto con i festeggiamenti di fine anno nella capitale tra le migliaia di persone che in quella lunga notte avevano affollato le strade del centro, facevano sembrare questo piccolo paese sede del centro di meditazione, un luogo ben più distante, sia in termini di tempo che di spazio, rispetto agli effettivi 50 chilometri di strada che lo separavano dalla famosa meta turistica.
L’aria qui aveva tutto un altro odore, e laghetti e piccoli torrenti si perdevano a vista d’occhio; non potevano essere contati tanti erano. Un grande tempio buddista era visibile da quasi tutti i punti panoramici verso l’orizzonte, e la gigantesca statua nera che lo dominava, sembrava vegliare scrutando gli abitanti di quel piccolo villaggio.
Quel giorno quando arrivai, mi furono spiegate alcune caratteristiche e regole del centro. Queste non combaciavano esattamente con quanto descritto sul sopra citato, ma non nominato, sito internet. La cosa mi aveva lasciato un tantino perplessa, ma di fatto, non rappresentava un problema per me: il luogo mi incuriosiva a tal punto da poter chiudere un occhio, forse anche uno e mezzo.
Dopo aver sistemato le mie cose e aver pagato 800 baht (poco più di 20 euro) per la prima settimana comprensivi di biancheria per il letto e una valanga di cibo frutto del bin·dá·bàht (il quotidiano e mattutino giro compiuto da monaci e monache per raccogliere le offerte – leggi più avanti), chiesi alla ragazza che lavorava nel posto e che mi aveva accolta, se potessi darle una mano in qualche attività. “Al momento qui sei l’unica ospite donna” mi disse lei, e in questa frase si intuiva la volontà di farmi capire che il mio aiuto sarebbe dovuto essere maggiore rispetto a quello dei maschietti (al momento presenti in 4 unità nella struttura).
Rimasi un attimo in silenzio pensando alla fortuna mia di poter godere di una grande indipendenza e autonomia, che di certo non mi facevano accettare condizioni di inferiorità di genere. Sorridendo, l’aiutai comunque e con piacere a sbrigare le poche faccende rimaste in cucina (lavare, asciugare e rimettere al proprio posto varie stoviglie, nulla di difficile).
Al termine, chiesi quale fosse l’attività successiva (avrei saputo poi questa essere una delle più importanti): dare da mangiare ai 10 cani che vivevano nel centro, tutti ex randagi.
Torno un attimo indietro. Premetto che appena arrivata in questo luogo, uno dei cani iniziò ad abbagliarmi contro ferocemente. Questo era successo subito dopo che la monaca più anziana e che svolgeva le funzioni più alte all’interno del centro, mi aveva velocemente salutata e presentato un altro suo cane piuttosto pacioccone. Appena l’altro cane mi ringhiò contro, la monaca mi urlò di fermarmi e io all’istante mi bloccai.
Il cane dopo essere stato più volte richiamato, smise di abbaiare e si tranquillizzò. Il mio cuore riprese a battere, perché davvero, quel cane sapeva far paura. Rapidamente mi fu spiegato che il cane non vedeva bene, era quasi cieco e quando sentiva movimenti o non riconosceva odori, poteva facilmente mordere o tentare di farlo. Ok, prima lezione imparata e registrata all’istante. Ma non avevo focalizzato bene il cane, in quanto questo non era il solo con il manto di quel colore. Per non sbagliare, decisi di prestare molta attenzione a tutti i cani simili al povero non vedente, che per quanto in difficoltà, non era autorizzato a mordermi. Nei giorni a seguire, nei pochi giorni a seguire che sono seguiti, riuscì a capire meglio la situazione e a farmelo amico (almeno lui).
Ritornando al mio primo giorno, visto che i cani mangiavano alle 5 del pomeriggio ed ancora erano le 3, decisi di andare a fare una passeggiata nei paraggi ed informai la ragazza sopra citata.
“Come poteva esistere un posto così a nemmeno 50 chilometri da Bangkok?”, mi domandavo..
I fiori adornavano i numerosi laghetti, e alberi da frutto prosperavano e si lasciavano abbronzare dall’aria calda e dal sole che filtrava da umide nuvole bianche.
Manghi, giaca, banani, noci di cocco. Questo era quello che offriva l’universo se guardavi davanti ai tuoi occhi, e un po’ più in alto, uccelli volteggiavano indisturbati oppure si alzano in volo disturbati dal mio passaggio. Un airone mi passò accanto, e io pensai “avrò tempo per poterlo fotografare..”.
Nei vari laghetti e rivoli d’acqua, molti uomini con le loro donne ad assistere, erano intenti a pescare nei modi più disparati; raccoglievano così, quell’abbondanza di pesci saltanti che l’universo aveva collocato di riflesso al cielo. Dovevano essere davvero grossi, perché il loro peso, ricadendo in acqua, rimbombava.
Ogni tanto qualche cane randagio mi veniva incontro. I più temibili, erano quelli che si avvisano l’un con l’altro abbaiando, e arrivando rapidamente ma alla spicciolata, divenivano un branco. Accadde questo quando provai a trovare una scorciatoia per raggiungere il tempio. Non sapevo che la strada non battuta in mezzo ai banani, fosse di proprietà di un branco di cani: questi, arrivarono con la modalità appena descritta, ed io indietreggiai a coda bassa. Allora pensai a chissà quanti e quali altri animali potevano esistere in mezzo a tutta quella vegetazione.. Velocemente tornai a camminare per la strada, affascinata da tutta quella rigogliosa bellezza.
Sulla destra, durante il tragitto verso il centro del paese, vidi una casa in costruzione. Mi fermai ad osservare quell’impalcatura fatta di corde e canne di bambù. Ne avevo già viste di simili durante i miei viaggi, ma ancora una volta mi soffermai ad esaminarne l’irresponsabile ingegnosità.
Poco più avanti sul mio percorso, un auto con alla guida un uomo anziano, si accostò facendomi capire in Thai di volermi offrire un passaggio. Ha un viso buono e io accetto volentieri, sia per fuggire dal caldo sia per non deluderlo. Pochi metri dalla ripartenza, sentendo bloccare gli sportelli con me all’interno, mi do della stupida, ma per fortuna quando il tipo si ferma davanti al tempio per farmi scendere, capisco che quella degli sportelli è solo un’abitudine dell’anziano signore.
Il tempio è enorme, in parte ancora in costruzione. È un tempio buddista. Si vedono i monaci che vanno e vengono, e alcuni muratori ancora al lavoro che stanno per terminare la giornata. C’è una sola turista, io.
Girello un po’, scattando foto. Un uomo mi mostra i suoi intarsi sul legno. Non parla inglese. Provo a chiedergli se quelle linee daranno vita ad un Buddha. Mi dice di no, o almeno è questa la conclusione a cui entrambi arriviamo.
Incuriosita, arrivo ad un giardino posteriore.
Qui i monaci sono intenti a raccogliere le foglie, e l’atmosfera è così pulita e benevola che quasi ho paura di graffiarla anche solo un poco con il mio sguardo da comune essere umano.
Mi sposto quasi per andarmene e il mio girovagare mi porta a salire su per una scalinata che conduce all’ingresso di uno dei tanti templi qui presenti. In realtà, sarebbe l’ora di prendere la strada del ritorno verso la mia momentanea casa e la cena per i cani. “Solo altri 5 minuti”, mi dico.
La parte esterna e più bassa di questo tempio, è piena di foto che si susseguono, l’una dopo l’altra, e sotto ad ognuna di queste immagini sono riportate delle date strane, di cui avevo già sentito parlare: capisco di trovarmi in un cimitero buddista.
La date sono “strane” perché il calendario buddista fa coincidere il proprio anno zero con la morte del Buddha avvenuta nel 543 a. C.
Quindi l’anno 2019 del calendario gregoriano (in uso in Italia), corrisponde all’anno 2562 del calendario buddista (2019 + 543 = 2562).
Mi congedo con emozione da questo cimitero e ritorno sui miei passi: non voglio arrivare in ritardo per la preparazione del pasto dei cani.
Rientro al centro in orario anche grazie al passaggio che mi da un ragazzino in motorino. In realtà non sarei troppo lontana dalla meta, ma ugualmente come prima, mi sembra buona educazione accettare; il caldo umido ancora soffocante rafforza questa mia decisione.
Al mio ritorno, la solita tipa mi dice di portare da mangiare a questo a quell’altro cane, chiamandoli per nome, come se io già mi ricordassi i nomi di tutti e 10 i cani, tra l’altro in thai. L’esperienza è davvero esilarante con a tratti sfumature di pazzia!!
Durante la distribuzione della cena ai cani, conosco un altro ospite, anche lui italiano. La prima cosa che mi dice dopo essersi presentato è: “Stai attenta a quel cane. Io ne ho il terrore. Ha già provato a mozzicarmi e fa così con tutti”….
Finito di far mangiare i cani, alle ore 18 partecipo alla mia prima attività di meditazione del centro. Le monache buddiste intonano le loro preghiere: la parte iniziale della preghiera, viene detta da una sola Bhikkhuni (solitamente la più anziana); successivamente, alla sua voce si unisce quella delle altre due Bhikkhuni; in questo momento, “entriamo in gioco” anche noi ospiti, ma solo quando riusciamo a non perdere il segno sul libro. Non è per niente facile stare al passo con il testo di una preghiera buddista, per lo meno all’inizio, ma l’atmosfera è comunque rilassante, piacevole, magica. “Va bene così”, penso io, “avrò tempo per imparare bene le parole e soprattutto il loro significato”.
Giorno 2 – Bhikkhuni mangia su piatti di vetro
Inizio male questo giorno, o per lo meno la giornata non inizia come avevo immaginato..
La notte appena trascorsa è stata letteralmente un incubo. I cani hanno abbaiato per ore ed ore sotto la mia finestra, senza quasi mai riprender fiato. Nessuno tra coloro che abitualmente vivono nel centro, li ha mai sgridati e ordinato loro di smettere, come di consuetudine si sarebbe portati a fare e ad immaginare. I dieci cani, all’unisono o in piccoli gruppi alternati, hanno ululato per qualsiasi rumore sentito in lontananza e hanno continuato anche quando il silenzio assoluto dell’oscurità sembrava poterci accompagnare tutti quanti tra le braccia di Morfeo. Ma invece no..
Nonostante la zona remota e scarsamente abitata, durante la notte potevo anch’io sentire, seppur di rado, il motore di un’auto che lentamente si muoveva nel buio oppure il ronzio ben più fastidioso di una barca che cieca, cercava di contenere il proprio rumore tra le acque scure del piccolo canale. Quando la mia mente riusciva a restare a galla sopra il ringhio dei cani, allora mi domandavo dove andasse quella gente a quell’ora della notte.
All’una ricordo di aver guardato per l’ultima volta che ora fosse sul cellulare, poi la stanchezza è calata come un lenzuolo sopra tutto il centro, concedendomi finalmente il riposo nel cessare, alle mie orecchie, del lamento dei cani.
Arriva il risveglio con il suono della sveglia ed è in questo momento che capisco di aver fatto male i conti, l’errore poco sopra accennato.
La sera prima infatti, appena stesa sul mio materasso buttato a terra, avevo programmato la sveglia prevista per il giorno dopo: le ore 4:40 della notte (non male come primo giorno) e sicura di questo, avevo provato ad addormentarmi, invano.
Qualche ora, insufficiente per essere definita una bella dormita, era passata e rapida come un anguilla, mi tuffo sopra la sveglia. La guardo con gli occhi crettati e vedendo scritto sopra le 5:40, capisco di averla programmata con un’ora di ritardo.. 🙁
Mi alzo ugualmente, sapendo già di aver perso la seduta di meditazione delle ore 5 …
La prendo con calma, tanto oramai è già tardi e dopo circa una mezz’ora esco dalla mia stanza.
È ancora tutto immerso nel buio. La seduta finirà alle 6 circa e io mi rammarico per non aver potuto partecipare..
Cammino nel giardino sfiorando il terreno, soprattutto con lo scopo di non essere sentita dal cane ipovedente.
Finisce l’ora di meditazione, e io dovrò aspettare il mattino successivo per andare al mercato con le due giovani Bhikkhuni: peccato, i due volontari che accompagneranno le monache durante il quotidiano bin·dá·bàht (il giro che ogni giorno monaci e monache compiono per raccogliere le offerte – leggi più avanti), vengono appunto decisi al termine dell’ora di meditazione mattutina.
Mi scuso, profondamente dispiaciuta, con la Bhikkhuni più anziana, la sola presente al momento, e questa mi risponde di non preoccuparmi.
Mentre l’auto si allontana con a bordo le due monache, i due volontari e la giovane autista (figlia della ragazza che mi aveva accolto il giorno prima e che portava molto bene i propri anni), la vita inizia nel centro e con il sole che sorge sopra al laghetto a pochi passi da me, inizio a lavare un po’di stoviglie, le asciugo e le sistemo negli appositi spazi…
Tutto quello che è di vetro o anche fatto di ceramica o plastica ma totalmente di colore bianco, è ad uso esclusivo di Bhikkhuni e va riposto in un apposito mobile con una vetrinetta; la restante stoviglieria è destinata agli altri ospiti del centro.
Appresa questa particolare e curiosa nozione e terminato di sistemare la cucina, mi appresto, armata di una grande scopa di saggina, a raccogliere l’alto strato di foglie che ricopre il piazzale posteriore. Ovviamente, qualunque azione viene compiuta tenendo un occhio su ciò che stai facendo e l’altro sui possibili spostamenti del temutissimo cane.
Chi non è di casa lo teme tantissimo, e io credo di essere in cima alla classifica..
Qualche minuto prima delle ore 7, i due volontari, le monache Bhikkhuni e la ragazza autista, ritornano dal mercato carichi di cibo.
Nella grande sala con le pareti ed il soffitto colorati e che funziona da refettorio e da luogo di aggregazione, vengono portati quattro o cinque grandi secchi.
Ognuno di essi, raccoglie all’interno svariate buste di plastica, che a loro volta, come fossero delle matrioske, contengono cibi di vario genere, acqua in bottiglia o in bicchieri di plastica serrati, e chi più ne ha più ne metta.
Ogni cibo, è già diviso in monoporzioni, ancora una volta, avvolto con dell’altra plastica.
Prevalgono su tutti, decine di piccoli sacchetti pieni di riso bianco, ma anche di riso contenente qualche altro cereale colorato, magari di un rosso mattone. Ricordo anche di aver visto dei piccoli chicchi tendenti al blu…
Nelle bustine ci sono anche dei noodles; questi sono in numero di molto inferiore rispetto al riso, ma comunque sufficiente a farmi immaginare un bel piatto di spaghetti.
Poi ci sono le bustine con il companatico: due uova sode in una bustina chiusa con un nodo; un altro uguale involucro con del pollo al ginger; in un altro tofu con germogli di soia; zucchine ripiene di carne che sembra maiale; ecc. ecc.
Una montagna di cibo. Ogni sacchetto peserà sui 100 grammi, ma il peso totale, anche se non controllato, fa una cifra importante.
Ogni tipo di cibo va collocato su di un apposito grande vassoio dedicato: riso e spaghettini da se; cibo salato su di un altro piattone; tutto ciò che è dolce su di un altro ancora; acqua e succhi di arancia (per la maggior parte confezionati in bicchierini da 200 cc a gloria della plastica) finiscono per occupare il poco spazio rimasto sul lungo tavolo di legno, che così ora appare simile ad un colorato mosaico.
Mentre noi finiamo di smistare la merce, le tre Bhikkhuni siedono sul fondo della stanza a circa 5 o 6 metri da noi comuni mortali.
A volte assumono posizioni di elevata interiorità; in altri momenti ridono e parlano tra di loro.
Le prime a scegliere il cibo per tutta la giornata sono proprio Bhikkhuni. Per loro sono previsti solo due pasti al giorno, colazione e pranzo. Il cibo che Bhikkhuni seleziona per se, non può essere toccato da altre persone.
Gran parte del cibo raccolto grazie alle offerte dei fedeli, viene collocato in un angolo della sala e sarà poi recapitato alle famiglie in difficoltà che vivono nelle vicinanze del centro di meditazione.
Altro cibo, prevalentemente riso e un poco di frutta, viene posto in cinque piccoli bicchierini: questo rappresenta l’offerta fatta quotidianamente agli Spiriti.
– fine prima parte –
Nell’attesa della seconda ed ultima parte di questo articolo, dove racconterò la mia quasi morte scongiurata, il relativo complicato trasporto in ospedale e l’incredibile reazione furiosa dell’anziana monaca Bhikkhuni, vi lascio questo video
un ricordo dal centro di meditazione in Thailandia, dove ancora tutto era bello, ed è questa comunque la parte che voglio ricordare!!!
Spero che questo articolo ti abbia in qualche modo aiutato.
Grazie per la tua lettura.
Cristina – Bagaglio a Bordo
Clicca qui per leggere la seconda parte di questa storia vera!
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