ho incontrato l'ultima Yagan

Ho conosciuto Cristina Calderón, l’ultima Yámana

Tempo di lettura: 10 minutes

Non credo che potrò scrivere altri racconti come questo.
Se è pur vero che ogni storia è a sé ed è perciò unica, questa lo è ancor di più, perché mai fino ad ora mi era capitato di conoscere, stringere la mano e parlare, con una persona considerata Patrimonio Umano Vivente dell’Umanità.

Ho incontrato abuela Cristina Calderón nel marzo 2019, durante il mio viaggio in Patagonia, e se sono qui a scrivere di lei, è per dare il mio piccolo contributo nel portare avanti la volontà sua e della sua famiglia: non dimenticare mai un popolo chiamato Yámana.

Cristina Calderón e il racconto di un incontro unico ed inaspettato

Sono entrata in questa storia in punta di piedi, come quando stai leggendo un libro affascinante, e sfogliandone le pagine, ti appare davanti la possibilità di ritrovarti a far parte di quel racconto, anche se solo per poche righe.

La prima volta che ho sentito parlare di Cristina Calderón, mi trovavo a navigare il canale di Beagle, uno stretto che separa l’Isola Grande della Terra del Fuoco (Isla Grande de Tierra del Fuego) da altre isole poste più a sud, tra cui figura anche l’Isola di Navarino (Isla Navarino).

A bordo di una grande barca, ero partita dall’argentina Ushuaia, la città più nota di Isla Grande de Tierra del Fuego (il cui territorio è diviso tra Cile e Argentina), e grazie ad uno dei tanti tour giornalieri che attraversano il Beagle, stavo ammirando il paesaggio e scattando foto a pinguini e leoni marini.

Passai tutta la giornata sul ponte esterno della barca, sfidando il vento ed il freddo, e bevendo il mio primo mate offertomi da Carolina, una ragazza di Buenos Aires conosciuta durante questa escursione e divenuta poi mia amica.

navigando il canale di Beagle

Io e la mia amica Carolina

Toma el mate que es frio“, “Bevi il mate che è freddo”, mi ripeteva la generosa e bella Carolina, mentre tra una sorsata e l’altra, riempiva di foglie secche e sminuzzate un apposito recipiente, per poi versarci sopra dell’acqua bollente contenuta nel suo thermos.
E si, Carolina era davvero organizzata, e anche tanto dolce.

amici in Patagonia

“Tomando mate”

Stavamo passando davanti alla cilena Isla Navarino, quando dall’altoparlante esterno alla barca, sentii parlare la nostra guida, la quale furbamente, si trovava al riparo all’interno dell’imbarcazione.

La sua voce dispersa tra il vento, catturò la mia attenzione.
La guida iniziò a raccontare la storia di una donna che viveva proprio sull’isola di Navarino, per l’esattezza a Puerto Williams e più precisamente ancora a Villa Ukika.

Tra il motore della barca ed il rumore delle onde che si infrangevano su di essa, non riuscì a comprendere tutte le sue parole. Capii soltanto che questa signora rispondeva al nome di Cristina Calderón, a cui veniva anteposto un affettuoso abuela (nonna in italiano), e che era l’ultima discendente di una tribù chiamata Yámana, detta anche Yágan.

Udito questo racconto, l’immagine del piccolo e lontano villaggio che vedevo di fronte a me, cominciò ad apparirmi con i margini frastagliati, ed al suo posto, iniziai a visualizzare un’anziana persona, seduta accanto ad una stufa accesa, ed il fumo grigio della legna arsa salire alto nel cielo.

Ero rimasta affascinata dal sapermi tanto vicina ad un pezzo di storia del mondo così unico ed irripetibile, ma allo stesso tempo, per gli stessi motivi, provavo anche un po’ di sconforto: non potevo fare niente per fermare il triste corso degli eventi, e non sarei mai andata a Villa Ukika, non era nei i miei programmi raggiungere Isla Navarino e non ne avevo il tempo.

Una volta finito il tour e rientrata ad Ushuaia, ebbi modo di apprendere ulteriori informazioni circa gli Yámana e la loro storia.
Il giorno dopo infatti, mi recai al Museo del Fin del Mundo, ubicato nell’edificio ex Banco Nación, ed un’intera sala del museo era proprio dedicata alle prime scoperte fatte dagli europei in questo remoto territorio. Naturalmente vi erano anche notizie sulle antiche popolazioni locali.

la storia degli Yamana

dal Museo del Fin del Mundo

museo Ushuaia

un particolare dell’immagine sopra

Anche i muri della città di Ushuaia mi parlavano di lei e della sua gente, ed io mi aggiravo tra le strade immaginando come fossero stati quei luoghi qualche decade prima, riflettendo anche sul fatto di quanto fossi lontana dalla mia di tribù.

alla fine del mondo

camminando per Ushuaia

yagan

i volti degli indigeni sui muri

memorie delle antiche tribù di Tierra del Fuego

lo sguardo fiero di un indigeno

E poi successe un altro fatto.

Se hai già letto uno dei miei precedenti articoli sulla Patagonia, saprai che ad Ushuaia il mio programma di viaggio cambiò.

In realtà non avevo ben in mente quale fosse il mio itinerario durante l’attraversamento della Patagonia. Avevo si alcune tappe certe o per lo meno fortemente auspicate, ed a malincuore, avevo scartato a priori, di prender parte ad una delle costosissime crociere che attraversano i fiordi cileni.

Il mio viaggio cambiò direzione quando ad Ushuaia, parlando con i proprietari dell’ostello in cui alloggiavo, questi mi informarono di un traghetto piuttosto economico che, salpando da Puerto Williams ed attraversando i meravigliosi fiordi cileni, mi avrebbe condotta sino a Punta Arenas.

Saputa la notizia, prenotai subito online un biglietto per la traversata, anticipai la mia partenza da Ushuaia, e raggiunsi Isla Navarino, con l’obiettivo primario di poter percorrere un’importantissima rotta marina della Patagonia senza dover spendere un’occhio della testa.

Questo fu il motivo principale per cui attraversai di nuovo il canale di Beagle e mi ritrovai a camminare a Puerto Williams, cittadina principale di Isla Navarino.

La mia mente non era ancora stata sfiorata dall’idea di cercare abuela Cristina Calderón. Non mi sembrava il caso di disturbare una persona anziana, e poi del resto, chi ero io per poter incontrare l’ultima Yágan? E se anche avessi voluto, come potevo fare per incontrarla?

A dire la verità, non riuscivo a togliermi dalla testa tutta questa storia, ed una volta arrivata a Isla Navarino, vidi su di una mappa che Villa Ukika era facilmente raggiungibile a piedi dal luogo in cui avrei pernottato.

Rimanevo sempre dell’idea di non voler disturbare o sembrare invadente, ma parlando con una persona del posto, questa mi informò che non ci sarebbe stato alcun tipo di problema nel caso in cui avessi voluto raggiungere Villa Ukika e la casa di abuela Cristina.

Ricevuto il messaggio, strabuzzai gli occhi ed incominciai a valutare l’ipotesi di spingermi fino a Villa Ukika.

La giornata annunciava il sopraggiungere di un inverno non troppo lontano. Il cielo era grigio, e le nuvole ballavano nel cielo un’intermittente danza della pioggia. Aspettai smettesse di piovere un po’ e poi uscii.

Camminavo senza meta alla fine del mondo, girovagando per il piccolo centro di Puerto Williams. Le strade sembravano quasi deserte e si respirava un’atmosfera tranquilla, così tranquilla che a Puerto Williams la gente lascia le chiavi appese fuori dalla porta, la quale non viene serrata nemmeno di notte.

Osservavo le piccole case con i tetti a punta ed il fumo delle stufe accese che accarezzava i comignoli. Grandi tronchi d’albero accatastati nei rispettivi giardini, aspettavano di seguire la stessa calorosa sorte. Da queste parti la stagione fredda non scherza e bisogna prepararsi in tempo per poterla affrontare al meglio.

il freddo a Isla Navarino

la scorta per l’inverno

Discesi la strada fino ad arrivare di nuovo di fronte al canale di Beagle. Guardavo gli uccelli planare, e ogni tanto scattavo una foto facendo attenzione che la pioggerellina non centrasse in pieno la mia macchina fotografica.

Poi mi decisi, ed iniziai a camminare in direzione di Villa Ukika.
Per tutto il tragitto, mi domandai se stessi facendo la cosa giusta o se fosse il caso di tornare indietro.

Attraversai il puente Ukika che a sua volta attraversava un piccolo ruscello, il Rio Ukika. Arrivai a Villa Ukika.

cercando abuela Cristina Calderón

l’arrivo a Villa Ukika

Una lunga strada separava un gruppetto di circa dieci case disposte sul lato destro, mentre dall’altra parte a breve distanza, c’era sempre lui, il canal Beagle.

Cristina Calderón

alla fine del mondo

Non sapevo da quale parte andare, ne che cosa chiedere, ma il problema non si poneva visto che non c’era nessuno a cui domandare.
Intravidi una grande porta di lamiera mezza aperta, dalla quale usciva un rumore di metallo. La raggiunsi e provai a bussare, ma non udii risposta ed allora entrai dentro.

Vidi la figura di un uomo che con buona parte della testa dentro al cofano di un’automobile, iniziò ad osservarmi.
Mi presentai scusandomi per il disturbo, e spiegando il motivo della mia visita: stavo cercando abuela Cristina Calderón.

Lui mi sorrise dicendomi che Cristina non era lì. Non feci nemmeno in tempo a metabolizzare la negativa risposta, che iniziò a chiedermi da dove venissi ed altre curiosità. Fu così che iniziammo a parlare. Il mio interlocutore appariva molto gentile e sereno.

Per alcuni minuti, quasi dimenticai il perché fossi arrivata sino a lì, ma poi ritornai sul motivo della mia visita. “Come fai a sapere che abuela Cristina Calderón non è qui?” domandai io dubbiosa, e lui mi rispose sempre sorridendo: “Perché sono suo figlio“.

Io e Daniel, questo è il suo nome, trascorremmo circa un’ora a parlare. Ha 68 anni e fa il meccanico. Parliamo di tante cose: di com’è la vita a Villa Ukika e di com’è la vita in Italia; della religione e del male che comanda certi uomini; dei cambiamenti climatici e della diminuzione delle nevicate sull’isola di Navarino.

Mi spiegò che sua madre si trovava in compagnia di un’altra figlia, in una località più a nord nel Cile. A breve sarebbe tornata a Villa Ukika, perché era qui che lei viveva, ma io non sarei più stata lì…

Mi chiese allora quale fosse il mio itinerario, e cercò subito di contattare telefonicamente la sorella cosicché io potessi incontrare abuela Cristina, nel luogo in cui questa ora si trovava. Ma la sorella non rispose al telefono.

In tutta sincerità, ero già molto felice così. Mi ero fatta un nuovo amico, che mi aveva anche invitata a ritornare a Villa Ukika in un prossimo mio viaggio. Ero un po’ dispiaciuta di non poter conoscere sua madre, ma alla fine, non si può aver tutto dalla vita.

Gli domandai se la mia presenza lì al villaggio potesse recare disturbo: non desideravo affatto essere invadente, ne tanto meno molestare lui e la sua famiglia.

Il mio nuovo amico si dimostra tutt’altro che infastidito, anzi mi comunica che la mia visita lo rende felice: “Grazie al turismo, finalmente la gente sta iniziando a conoscere Puerto Williams e Villa Ukika, luoghi fino a poco tempo fa, sconosciuti agli stessi cileni“.

Mi racconta della madre novantenne, ancora in gamba e che svolge autonomamente le quotidiane attività della vita: “E’ solo un po’ più lenta, ma questo è normale” aggiunge Daniel, ed io non posso che essere d’accordo con lui.

Mi dice di ritornare nella sua officina meccanica il giorno dopo, così da potermi dare maggiori informazioni circa la possibilità di incontrare sua madre. Spiegai allora a Daniel che il giorno successivo, mi sarei dovuta imbarcare sul traghetto per Punta Arenas; conoscendo bene l’orario di imbarco che è alle 5 del pomeriggio, lui mi rassicura facendomi presente che avrò il tempo per tornare a salutarlo.

Mi congedai con grande riconoscenza.

Il giorno dopo, come pattuito, ero di nuovo a Villa Ukika.
Daniel è una persona stupenda, buona e solare. Mi comunica che ha parlato con la madre e la sorella, mi lascia il numero di telefono di entrambe, e mi dice di contattarle una volta arrivata in una determinata località. Resto senza parole. “Meno male che non volevo disturbare!“, penso io.

Incredula, saluto Daniel con un forte abbraccio, promettendo di continuare a sentirci telefonicamente e di fare ritorno un giorno a Villa Ukika: “Torna durante la bella stagione, così potremmo andare…” e mi elenca una serie di luoghi che potremo visitare insieme.

incontri magici a Villa Ukika

Io e Daniel, figlio di abuela Cristina Calderón. Sto mantenendo la piacevole promessa, e circa una volta al mese lo contatto telefonicamente.

Pochi giorni dopo, mi mesi in contatto con Lidia, sorella di Daniel. Mi stava aspettando, e tramite Whatsapp, mi invia l’indirizzo da raggiungere.

Presi un taxi per una direzione che non conoscevo (l’indirizzo era un po’ strano) e che a quanto pare, non conosceva neppure l’autista.

In circa 20 minuti, in qualche modo, giunsi a destinazione, o meglio, il tassista mi comunicò che la zona doveva essere quella. Pagai la corsa ed il taxi se ne andò.
Ero rimasta da sola.

Mi trovavo nel bel mezzo di un incrocio, con delle normali case su tutti i lati. Iniziai a cercare la mia casa.
Passai in rassegna i numeri civici delle vicine abitazioni, ma non trovavo quello che mi era stato inviato, e non avevo un numero di telefono locale per poter telefonare.

Cominciai ad esplorare la zona, qualche cane abbaiava per la mia presenza.
Mi spostai verso un altro incrocio, e vedi alcune persone accanto ad un’auto, pronte per andare da qualche parte. Mi incamminai verso di loro.

Lidia mi saluta con la mano ed io immagino che Daniel le abbia dato una descrizione davvero accurata di me; è anche vero che lì intorno non c’è nessuno.

Si scusa perché deve uscire a far compere, spiegandomi che il giorno dopo dovrà rientrare a Villa Ukika, e che nei dintorni del piccolo villaggio, incluso Puerto Williams, non ci sono molti negozi: “Si, me ne sono accorta“, penso io.

Mi presenta rapidamente le persone che sono con lei (figlia, genero ed il loro piccolo bebè in fasce), e mi dice che Cristina è in casa che mi sta aspettando. Entrano in macchina e se ne vanno.

Ecco, questa situazione proprio non me la immaginavo… Aprii il cancello ed attraversai il piccolo giardino, salii alcuni scalini e bussai alla porta che era già aperta.

Stavo provando un forte imbarazzo, e stentai a credere di trovarmi dove ero (ma dove ero?), e di stare facendo quello che stavo facendo (ma cosa stavo facendo?).

Si spalancò la porta, e vedi comparire una signora minuta, dal passo lento ma sicuro, lo sguardo fiero ma dolce, proprio come quello di una nonna.

Mi invitò ad entrare e ci accomodammo in cucina.
Abuela Cristina Calderón, si mise a sedere su di una panca di legno ed io accanto a lei. Siamo solo noi due in casa, e questo fatto mi imbarazza ancora di più.

Mi ritrovo da sola in una casa che non conosco, con una signora di 90 anni che fino a quel momento non avevo mai visto. Tutte le domande che avevo programmato di farle, si sciolsero davanti alla fragilità della sua età, e dopo i primi attimi di incertezza e di studio reciproco, incominciammo a parlare.

Le raccontai di come avevo conosciuto suo figlio Daniel, di quanto fosse stato gentile con me e della passeggiata che avevo fatto lì a Villa Ukika, risalendo il Rio Ukika fin dove era possibile camminare. Lei, con tono dispiaciuto, mi fa presente che al villaggio ha tutte le sue foto, dando per scontato il fatto che altrimenti me le avrebbe mostrate. Mi dispiaccio molto anch’io della cosa, ma non lo do a vedere.

Puerto Williams

Il Rio Ukika poco prima di entrare nel canale di Beagle

Rotto il ghiaccio del silenzio e venuto meno l’imbarazzo iniziale, siamo ora entrambe rilassate.

Mi racconta di essere andata ad abitare a Villa Ukika nel 1960, quando all’epoca nei dintorni di Puerto Williams, c’era solo il comando della Marina. Aveva già diversi figli, e in quel periodo ricevette grande aiuto da parte di un capitano navale.

Senza che io le domandassi nulla, mi spiega che ha avuto 9 figli, 7 di questi ancora in vita, e che avendoli concepiti con uomini non appartenenti alla sua etnia, lei è l’ultima Yágan.

Il tono della sua voce si abbassa quando inizia a parlare delle sorti della sua millenaria lingua, lo yámana. Non vorrebbe mai che questa venga dimenticata, ed aggiunge che sua figlia Lidia si sta dando tanto da fare per far si che ciò non accada.

La vidi diventare triste parlando di questo argomento, e allora io, forse in cerca di un modo per consolarla e distrarla un po’, le mostrai sullo schermo della mia macchina fotografica, il video di una balena che avevo ripreso pochi giorni prima. Lei sgranò gli occhi da dietro gli occhiali.

A dire la verità, nemmeno io riuscivo a vedere bene una balena su di uno schermo così piccolo, e poi pensai a chissà quante balene aveva visto abuela Cristina durante la sua vita ai confini del mondo…

Le mostrai inoltre, le foto scattate assieme a suo figlio Daniel a Villa Ukika, e volendole fare un regalo, le lasciai un mio CD.

L’abbracciai commossa, con la stessa intensità con cui si abbraccia una persona di quell’età a cui si vuole bene. Sapevo per di più, che stavo stringendo tra le mie braccia, un pezzo di storia della nostra umanità. Avrei voluto fermare il tempo e tenerla per sempre lì, non solo per me ma per tutti noi.

Timidamente le domandai se potessi farle alcune foto, e lei sorridendo ed arrossendo un po’, acconsentì con un cenno del capo.

nonna Cristina Calderón

abuela Cristina Calderón

ho incontrato l'ultima Yágan

Io e abuela Cristina Calderón

Patrimonio Umano Vivente dell'Uminità

l’ultima Yágan

Era trascorsa più di un’ora dal mio arrivo, e sentii che era il momento di andare.
L’abbracciai di nuovo e la baciai dolcemente sulle guance. Sulla pelle del suo viso segnato dal tempo, intravidi la memoria di quel popolo antico di cui lei era l’unica erede e testimone.

Me ne andai così, incredula dell’incontro appena fatto, e portando dentro di me il ricordo di una donna unica al mondo ma al tempo stesso, piena di una semplicità comune e disarmante.

Me ne andai così, con una promessa da mantenere: non dimenticare mai un popolo chiamato Yágan.

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Abuela Cristina Calderón e gli indigeni Yámana

Abuela Cristina Calderón nasce il 24 maggio del 1928, in una località chiamata Róbalo, situata lungo le coste dell’isola di Navarino (Cile).

Appartiene ad un’etnia chiamata Yámana conosciuta anche come Yágan, una tribù insediatasi a questa latitudine circa 6000 anni fa.

In origine gli Yámana, occupavano un’aerea compresa tra la parte più a sud dell’Isola Grande della Terra del Fuoco e la più meridionale Cabo de Hornos (Isola di Navarino), sino ad estendersi nella regione occidentale dello stretto di Magellano.

L’entroterra di questi territori era occupato da altri gruppi indigeni, come i Selk’nam e gli Alakaluf.

Agli Yámana va però il primato di popolazione più australe del mondo, per il semplice fatto che questi andarono ad abitare proprio lungo le coste, le quali, si trovavano più a sud dei territori interni.

La parola Yámana significa “essere umano“, mentre il termine Yágan, molto in uso oggi, fu attribuito a questa tribù nella seconda metà del 1800 da Thomas Bridges, missionario e linguista britannico.

Dotati di una grande capacità nel navigare le acque insidiose ai confini del mondo, gli Yámana furono denominati anche Canoeros del Beagle o Nomadi del Mare.

La loro vita si svolgeva appunto soprattutto lungo la costa, ed evitavano di spingersi verso i territori più interni, considerati pericolosi per la presenza degli spiriti maligni e delle altre tribù ritenute ostili.

Gli Yámana vivevano in simbiosi con la natura, e la loro sopravvivenza veniva garantita attraverso attività quali la caccia e la pesca. Si nutrivano soprattutto di pesci, molluschi e grandi cetacei, ed utilizzavano le pelli dei leoni marini non solo per alimentarsi (essendo queste ricche di grasso), ma anche per costruire funi con le quali si calavano giù per i dirupi, con l’intento di cacciare uccelli.

Ricoprivano i loro corpi con pelli di animali, quali lontre, volpi, guanachi e gli stessi leoni marini, e le loro abitazioni erano costituite da capanne fatte di legno ed erba, provviste di un’apertura superiore dalla quale fuoriusciva il fumo del fuoco che ardeva all’interno.

Tutto il nucleo familiare, partecipava alle attività di sussistenza della famiglia stessa, e mentre l’uomo cacciava a terra, la donna pescava e raccoglieva molluschi lungo la costa.

Le uscite in canoa prevedevano lo sforzo di tutti i congiunti, ognuno con un proprio ruolo: la donna remava, l’uomo usava l’arpione per catturare i leoni marini, ed i figli, si occupavano di non far spegnere il fuoco posto all’interno dell’imbarcazione.

Il fuoco, come si può immaginare, era un elemento di primaria importanza per i popoli fuegini (termine che indica gli abitanti di Tierra del Fuego).
Quando nel 1520, Ferdinando Magellano passò per primo da questi parti, i numerosi falò che ricoprivano tutta la costa, lo portano a denominare questa regione la terra dei fuochi, da qui Tierra del Fuego.

La Kina, era un rito cerimoniale a cui potevano partecipare solo gli uomini Yámana adulti. Durante il rituale, questi si dipingevano il viso ed il corpo, venendo così animati dagli spiriti. In questo modo, spaventavano le donne ed i giovani non ancora iniziati.

Il declino degli Yámana iniziò durante il XVIII secolo, quando gli europei e i nordamericani cominciarono a queste latitudini, una caccia intensiva nei confronti delle otarie e dei mammiferi marini. Inoltre, sempre in questo periodo, furono introdotte alcune specie animali estere.

L’opera scellerata degli stranieri, comportò una severa alterazione dell’ecosistema, con gravi ripercussioni sulla vita degli indigeni.

Anche Charles Darwin passò su questi territori. Era il 1832, ed il famoso studioso della teoria dell’evoluzione, non fu per niente gentile con gli Yágan. Per il solo fatto di possedere vestiti ed usanze diverse dalle sue, li definì esseri inferiori.

In quest’anno, la popolazione degli Yámana era formata da circa 4000 individui, e gli invasori stranieri non si fecero di certo scrupoli nel tentativo di colonizzare queste terre.

Seguirono alcune pestilenze che portarono il numero dei nostri indigeni ad appena 1000 unità agli inizi del 1884.

Purtroppo nello stesso anno, arrivò il colpo di grazia per gli Yágan superstiti: un’epidemia di morbillo (o forse anche di vaiolo o di tubercolosi), dimezzò la popolazione, risparmiando solo circa 400 persone.

Il declino degli Yámana divenne inarrestabile, e nel 1908 si contavano appena 170 membri.

Spinti dal desiderio di difendere gli ultimi indigeni rimasti, alcuni salesiani tra cui Don Alberto De Agostini (Don Patagonia, di cui ho già parlato in un precedente articolo), chiesero al governo cileno di poter portare i sopravvissuti sulla vicina isola di Darwin, così da costituire una colonia protetta.

Ma non ci fu nulla da fare, e nel 1932, la comunità Yágan era già scesa sotto le 100 unità, meticci compresi.

Nel 1932, Cristina Calderón, aveva solo 4 anni.
Visse i primi anni della sua vita seguendo le abitudini della sua gente, trascorrendo un’infanzia secondo gli usi e i costumi dell’antico popolo Yágan a cui appartiene.

Rimasta presto orfana di entrambi i genitori, fu cresciuta da altri consanguinei.
Fino a 9 anni parlava solo la lingua yámana, ed è a quest’età che iniziò ad imparare lo spagnolo.

Abuela Cristina Calderón, vive sull’isola di Navarino, dove ha trascorso la maggior parte del suo tempo, e dal 1960 abita a Villa Ukika.

Dopo la morte della sorella Ursula avvenuta nel 2003, è oggi l’ultima discendente “pura” degli Yámana o Yágan,

Insieme alla sua numerosa ed unita famiglia, abuela Cristina Calderón, porta avanti un difficile ad ammirevole progetto, quello di tramandare la lingua yámana e le abitudini del suo ultra millenario popolo.

Con la figlia Lidia e la nipote Cristina Zárraga, ha scritto un dizionario di tutti i termini yámana.

Uno di questi, “mamihlapinatapai“, è entrato a far parte del Guinness dei primati come il vocabolo più conciso e difficilmente traducibile del mondo.
Il suo significato descrive la seguente azione: “guardarsi reciprocamente negli occhi sperando che l’altra persona faccia qualcosa che entrambi desiderano ardentemente, ma che nessuno dei due vuole fare per primo”.

Nel 2003, abuela Cristina Calderon, è stata definita Patrimonio Umano Vivente dell’Umanità da parte dell’UNESCO.

Il 24 maggio di quest’anno, ha compiuto 91 anni, ed io me la immagino al caldo nella sua casina di Villa Ukika, intenta ad intrecciare cesti di vimini come faceva un tempo un popolo chiamato Yágan.

* Ringrazio abuela Cristina ed i figli Daniel e Lidia, per avermi permesso di conoscere questa storia, così da poterla raccontare agli altri ♥

l'ultima Yamana

Villa Ukika

per non dimenticare un popolo chiamato Yagan

l’ingresso al villaggio di abuela Cristina Calderón

abuela Cristina Calderón

Ci sono storie che non devono essere mai dimenticate…

 

Clicca qui per continuare a leggere del mio viaggio in Patagonia:

Viaggio in Patagonia, informazioni e curiosità

Patagonia, itinerario tra Tierra del Fuego e Carretera Austral

 

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Cristina – Bagaglio a Bordo 

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